PRIMO CICLO DI DIPINTI della navata

I teleri seicenteschi della navata si rifanno al tema unitario della Passione e Morte del Signore, tema caro alla Confraternita.

Sono globalmente attribuiti, grazie a carte e documenti della stessa Confraternita, al pittore Girolamo Zurlo, detto “Geronimo pitor”, proveniente con probabilità dal territorio vicentino, e in contatto con la scuola minore dei Maganza (vedi somiglianza di alcuni modelli iconografici).

Passiamo brevemente in rassegna le tele a partire da sinistra:

 

  1. L’ULTIMA CENA CON GLI APOSTOLI

Tela datata 1632, reca i nomi dei confratelli offerenti: «Zuane Lorenzon Camerlengo – Giacinto Fabri Guardiano» e i loro ritratti nella caratteristica veste nera di confratelli.

 

  1. GESÙ LAVA I PIEDI A PIETRO

Le due sigle: «V.B.» e «F.B.» si riferiscono a Francesco Bertoloni e Vincenzo Bertoloni suo figlio, che fu chierico nella Collegiata del Duomo, poi sacerdote e morì giovane nel 1656.

 

  1. GESÙ È CONFORTATO DALL’ANGELO NELL’ORTO DEGLI ULIVI

Non vi sono indicazioni di sorta e neppure ritratti di committenti. Interessante nel suo insieme, ha tuttavia alcuni difetti nel disegno e nella prospettiva. Può risalire al 1632-1637. Risulta essere una copia quasi identica dello stesso soggetto dipinto dal cremonese Antonio Campi (1525-1587), conosciuto probabilmente attraverso una stampa diffusa a Venezia nel 1575.

 

  1. GESÙ È FLAGELLATO ALLA COLONNA.

Vi si legge l’abbreviazione «OT. V.do. Guard.o» che indica Ottaviano Da Vò che fu Guardiano della Confraternita nel 1631, e morì nel 1667. Con il dipinto successivo svolge il tema del Cristo umiliato.

 

  1. GESÙ È INCORONATO DI SPINE.

Risultano scritti i nomi dei confratelli offerenti: «GF. Geronimo guardiano – Giovani Dali Armi guardiano»: sono Girolamo Fanti e Giovanni Dall’Armi che, per la coincidenza del loro incarico di Guardiani documentato nei libri della Confraternita, permettono di datare il quadro al 1632.

 

  1. L’INCONTRO DI GESÙ CON LA VERONICA.

Non ha iscrizioni. I due personaggi ritratti come offerenti, non sono individuabili. Da una nota di spese conservata nei libri contabili della Confraternita, risulta che il quadro fu pagato 80 lire nel gennaio del 1632 al «… S.or Gieronimo pitor». È l’unico dato scritto che si ha sull’autore Girolamo Zurlo.

 

  1. GESÙ È SPOGLIATO DELLE SUE VESTI

Gli offerenti sono «Giovanni Damiani et Damiano Filius eius». La datazione è correlativa al precedente anno 1632. Per lo stile, facilmente individuabile, concitato e fortemente marcato, per il modo di disporre la scena affollata e per la ripetitività dei particolari, è evidente opera del medesimo Girolamo Zurlo.

 

  1. LA CROCIFISSIONE

Siglata e datata «B.S. 12 IV. 1645». La sigla «B.S.» riferita al ritratto, e la data di consegna del 12 luglio 1645, ricordano Baldin Santini che fu Guardiano nel 1645 assieme a Giacomo Galuppo. Alcuni spunti iconografici permettono di riferire la tela a Girolamo Zurlo.

 

  1. LA DEPOSIZIONE NEL SEPOLCRO

Sono riportati i nomi dei confratelli offerenti: «Giacomo Dale Arme computista – Gioanbatista Righetti Proveditor di Chiesa». Per la coincidenza dei due incarichi, che si può riscontrare nei documenti della Confraternita, la datazione del dipinto potrebbe essere riferita forse al biennio 1654-1655, o meglio a qualche anno successivo. È probabile che l’Autore sia lo stesso Giambattista Righetti (1633ca-1679) che fu pittore molto stimato in Este. Il ritratto dai lineamenti molto giovanili ne potrebbe essere una riprova, qualora lo si voglia dipinto poco dopo il 1655, quando il Righetti aveva oltre i 23-25 anni.

 

Sopra la porta d’ingresso, vi è una ANNUNCIAZIONE ALLA BEATA VERGINE MARIA con la data del 1645 e il nome del donatore «Bortolamio Bel.nzo^ Sin.co»: Bartolomeo Bellanzon sindaco della Confraternita, morto nel 1660. Era questa un’immagine molto venerata, fornita di una mensola a tipo altarino, ornata sempre con vasi di fiori, e la figura dell’Annunziata era decorata con una corona d’argento.

 

Sopra la porta di ingresso della sacrestia dell’Oratorio è esposta dal 1987 in un’antica cornice riadattata, la tela di dimensioni minori con il SANTO VOLTO; reca nel retro la memoria scritta: «Romae 1700. Ab originali desu-pt.Paulus Perotti devotion. ergo». Fu donata dal canonico Paolo Perotti (che l’aveva acquistato a Roma durante il suo pellegrinaggio fatto nell’Anno Santo 1700) alla Chiesa di San Girolamo nel 1726 ove rimase fino al 1958, passando poi in deposito al Duomo.

 

CICLO DI DIPINTI del Coro

Come già accennato, i dipinti posizionati nel settore del Coro non seguono un programma iconografico unico, ma sono in parte suggeriti da scelte devozionali legate a particolari occasioni, in parte dall’iniziativa dei singoli committenti. Partendo da destra troviamo:

 

  1. LA DEPOSIZIONE DI GESÙ NEL SEPOLCRO. Reca l’iscrizione: «Alessandro Regazzola secretario fece fare per sua devotione l’anno 1689», e una firma che per la sua posizione nascosta sul fianco del sepolcro, deve essere recepita come quella del pittore: «GIACOMO REGAZZOLA P.» Si tratta di un estense, figlio di Girolamo Regazzola, non conosciuto come pittore da altre fonti storiche, vissuto nel 1655-1696. In quest’opera rivela una discreta capacità espressiva e notevole senso drammatico.

 

  1. LA CENA DEI DISCEPOLI IN EMMAUS. Sembra la copia di un modello abbastanza diffuso attraverso le stampe. I donatori si sottoscrivono: «1732. Paulo e Francesco Fratelli Moriani – P.G.F.». La sigla «PGF», segnata a parte, potrebbe indicare il nome del pittore che tuttavia resta sconosciuto.

 

  1. LA RISURREZIONE DI CRISTO. Non vi è alcuna iscrizione che permetta di identificare i quattro personaggi donatori o la datazione. L’interessante dipinto, di impostazione ampia e solenne, può rientrare nel ciclo dei teleri realizzati tra il 1720 e il 1735.

 

  1. SANTA TECLA PATRONA DI ESTE. Santa Tecla prega l’Eterno Padre perchè liberi Este dalla pestilenza. Interessante è la veduta della piazza di Este dal Palazzo Pretorio alla Porta Vecchia, al Monte di Pietà. Vi si legge una lunga abbreviazione che dovrebbe indicare uno o due offerenti: «L: F: F.F. P.S.D. A. 1732 – G.NI F.NI E.L.NO – PRO T.TI». Una parte si può sciogliere: <<L.F. fece fare per sua devozione nell’anno 1732». È una copia scadente della pala di Santa Tecla che si trova nell’altare votivo del Duomo. Ripropone la devozione alla Santa che veniva invocata anche come Patrona della Confraternita fin dal tempo in cui la medesima aveva ricevuto in custodia la Cappella votiva in Duomo.

 

  1. LA MORTE DI SAN GIUSEPPE. Il cartiglio riporta la dedica degli offerenti e l’anno: «Sebastian Pavan. Francesco Scapin. Giobatista Zagho. Pietro Bruneti fece fare per sua devotione l’anno 1720 adi X agosto». A parte la data, non è possibile risalire ad altre informazioni sul pittore, che per lo stile non ha riscontri analoghi nelle altre tele.

 

  1. L’ADORAZIONE DELL’EUCARISTIA. Ha una iscrizione: «CONFRATRUM AERE 1826». Sul retro del supporto in legno si legge inoltre: «Angelo Urbani pinse, fratello n.o. del SS.- Luigi Colletti – Marco Branchini- 0fferto li 20 marzo 1826». Fu dipinto dal pittore estense Angelo Urbani (1755-1832) nel 1826, in sostituzione dell’altro telero che rappresentava il Trionfo della Morte, che ora si trova in canonica. La nuova scelta iconografica fu voluta dalla Confraternita del Santissimo Sacramento, subentrata nel 1816 alla confraternita della Morte dopo le soppressioni napoleoniche, in quanto il soggetto antico non si adattava più al senso e alle finalità della Confraternita del Santissimo.

 

  1. LA PRESENTAZIONE DI GESÙ AL TEMPIO. La tela sagomata, che occupa la lunetta centrale alta del soffitto, ha un’iscrizione siglata: «1743 B.C. PER S.D.» che si riferisce ad un atto di omaggio fatto «per sua devozione» da un Bernardino Cesari, membro della Confraternita, morto nel 1749. È un’opera semplice e popolare, dai luminosi colori e ingenue figurazioni.

 

  1. LA MORTE DELLA MADONNA. Ha il nome dell’offerente: «ANDREAS ROSSIIT 1721». L’abbreviazione non è riconducibile al «pinxit» ma ad un «posuit», quindi non è la firma del pittore. Non ci sono altre notizie su questo strano dipinto, dalle pennellate nervose e sommarie. Il risultato è scadente e in molte parti è stato pesantemente ridipinto. Lo stile e la tecnica usata nella ridipintura fanno pensare ad un intervento completamente fuori del Settecento, probabilmente durante i restauri fatti nell’Oratorio alla fine dell’Ottocento.

 

  1. Nel soffitto al centro della sala L’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE IN CIELO. Vi si legge il nome dell’offerente: «PET.S BART.US MDCCXVII». Si tratta di Pietro Bartoloni (1695-1734), personaggio riconoscibile anche dallo stemma della famiglia, allora molto influente e stimata in Este. Questa tela è certamente il più bel dipinto esistente nell’Oratorio: non ci sono altri documenti, se non la data del 1717. La posizione della Vergine, i bellissimi Angeli, gli scorci e i difficili profili luminescenti fanno pensare a Sebastiano Ricci. La tela estense presenta una singolare somiglianza con la parte alta dell’Assunta dipinta nel 1733 dal Ricci per la Chiesa di San Carlo a Vienna.

 

  1. LA VESTIZIONE DI UN CONFRATELLO. Il dipinto non ha iscrizioni dedicatorie. Raffigura il rito di immissione di un fedele nella Confraternita, atto a cui si dava una notevole importanza e nel quale si assumevano gli impegni di preghiera e di carità. Smagliante è la composizione dei colori, non perfetto il disegno: è databile al terzo o quarto decennio del Settecento.

 

  1. IL GIUDIZIO UNIVERSALE. Non ha dediche e date. Lo stile ricercato e veristico dei ritratti dei quattro donatori è simile a quello degli altri confratelli raffigurati nell’Adorazione dei Pastori. Non si equilibra bene tuttavia la presenza dei ritratti con la scena del soggetto che, per necessità di spazio, è dipinta su scala molto minore: si possono contare tra le schiere dei Beati e dei Dannati circa 205 figurette più o meno abbozzate. Alcuni nudi furono contestati nella visita vescovile del 1748 e quindi ricoperti con ritocchi e aggiunte di vestiti.

 

  1. L’ADORAZIONE DEI PASTORI. Senza dediche e senza data, ma dovrebbe rientrare nel ciclo dipinto nel secondo o terzo decennio del Settecento. È un soggetto popolare che si rifà ad una incisione di Pietro Monaco, tratta da un dipinto di Sebastiano Ricci, molto conosciuto e imitato da vari pittori del Settecento. Molto espressivi e personalizzati sono i ritratti dei Confratelli. Commovente il particolare della mucca che lecca la mano del Bambino.

 

  1. L’ANGELO CUSTODE. Riporta la scritta: «Camillus Lazarimus aetatis suae LIV anno 1719». L’iconografia ha molte attinenze con un’acquaforte di Matteo Cadorin ricavata da un dipinto di Giulio Carpioni. La devozione all’Angelo Custode si diffuse grandemente per tutto il corso del Seicento. È dono di Camillo Lazzarini (1665-1738), personaggio molto influente nella Este settecentesca, amministratore di alcune confraternite, economo della Fabbrica del Duomo durante la sua costruzione.

 

La tela con L’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE, originariamente nella chiesa di Santo Stefano, fu portata nei depositi del Duomo nel 1989 per lo stato di conservazione precario . Dopo il restauro del 2008 si è rivelata un’opera splendida, che può essere certamente attribuita a Girolamo Forabosco (1605-1679), di origine veneziana ma residente anche a Padova per parecchi anni. Datazione più probabile al sesto-settimo decennio del Seicento, corrispondente all’epoca espressiva più patetica e delicata dell’autore.

 

IL CROCIFISSO

Questo crocifisso trovò collocazione nella piccola sacrestia dell’Oratorio verso il 1816. Non si conosce la provenienza ma potrebbe essere il Crocifisso che si trovava nella chiesa di San Francesco in Este fin dal 1685, donato alla medesima chiesa dal canonico del Duomo Giovanni Paolo Fabris (1634-1707) dopo che nell’incendio del marzo 1685 erano andati distrutti tutti gli arredi sacri. La scultura viene ritenuta sicura opera di Francesco Terilli autore dell’altro crocifisso venerato nell’altare del Duomo (cfr lettera del 15 marzo 1989 del professore Giuseppe Biasuz). Scultura di grande bellezza e sensibilità e si rifà agli scultori veneziani del primo Seicento.

 

Il dipinto originale del TRIONFO DELLA MORTE  si trova ora nella canonica del Duomo: su disposizione dell’arciprete Gaetano Rizzardi fu trasferito nel 1826 dall’0ratorio nella chiesa delle Consolazioni, dove rimase fino al 1995, in pessime condizioni e finalmente restaurato nel 2006. Raffigura la Morte che «tutto vince», seduta sul mondo (il globo) posto su un carro fatto con ossa di morti, trascinato dai potenti della terra: tra il clero vi è un papa, un cardinale e un vescovo, e tra i laici un imperatore, un re e un doge. Esso in origine occupava il fondo del coro ed era un messaggio abitualmente ricorrente nella Confraternita. Sul dipinto si riscontrano due indicazioni: la data del 1700, e la sigla «Z.P.PA», che indica quasi sicuramente il pittore. Non si conoscono i nomi dei Confratelli offerenti.